Crisi
d’impresa, allerta e strumenti di risanamento. Un approccio aziendalistico
all’istituto giuridico.
di
MARIALUCETTA
RUSSOTTO
FRANCESCO
ANGELI
1 - Introduzione
Il nuovo Codice della Crisi e
dell’Insolvenza riporta all’articolo 2, comma 1 lettere a), b) e c) le
definizioni di crisi, insolvenza e sovaindebitamento. Nella lettera della norma,
le descrizioni fatte dal Legislatore assumono un’elevata caratteristica
letteraria.
Per la prima volta nel nostro ordinamento
giuridico il Legislatore ha voluto descrivere una situazione economica in
maniera indefinita e non priva di incertezza, con una modalità che si discosta
notevolmente dalla definizione basata su rigidi e ineludibili parametri numerici
quale è l’attuale formulazione dell’articolo 1 della Legge Fallimentare del
1942.
La volontà del Legislatore, quindi, si basa
chiaramente sulla necessità di regolamentare una realtà economica
dell’impresa che non ha più caratteristiche e definizioni unitarie, ma che si
mostra con poliedriche facce difficilmente codificabili e parametrabili; e lo
dimostra dandone una illustrazione fluida ed elastica, che ben dovrebbe
consentire di descrivere il momento di una realtà viva e in divenire qual è
l’impresa.
Stupisce quindi quando si verifica che la
portata dell’articolo 2 CCI si scontra con il dettame degli articolo 12, 13 e
15 del CCI i quali intenderebbero, nel momento in cui tale crisi emerge nella
realtà aziendale, restituire alla suddetta normativa una rigidità di parametri
e di risultati numerici che l’articolo 2 del CCI non prevede.
Lo scopo del presente studio è quindi quello
di cercare di delineare e concretizzare la definizione di crisi d’impresa e
del momento dell’allerta; cioè il momento nel quale tale crisi emerge, con
variabili verificabili sia dall’interno che dall’esterno del sistema,
verificando poi quali siano gli strumenti migliori per l’emersione.
Darne quindi un approccio aziendalistico
reale e realizzabile sia dall’imprenditore dell’impresa fallibile, ma non
grande, quanto dagli organi di controllo delle società dimensionalmente
maggiori; sia ai fini dell’emersione della crisi e quindi dello stato di
allerta, sia per dotarsi dei necessari strumenti per il superamento del momento
di difficoltà. Superare gli errori dell’articolo 15, 1 e 2 comma CCI,
utilizzando a tal fine le moderne metodologie della pratica aziendalistica.
Il lavoro è strutturato come segue:
nell’ambito dell’analisi per indici, il lavoro ne illustra i limiti;
nell’ambito dell’analisi per flussi viene indicata in maniera breve una
metodologia di applicazione con il rendiconto finanziario, del
quale esistono modelli diversi di rappresentazione dei flussi in base
alla definizione di flussi finanziari.
2 - Legal review
Gli articoli del CCI a cui il presente lavoro
fa riferimento sono:
Art. 2 Definizioni
1. Ai fini del presente codice si intende per:
a)
“crisi”: lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende
probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come
inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle
obbligazioni pianificate;
b)
“insolvenza”: lo stato del debitore che si manifesta con
inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non
è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni;
c) “sovraindebitamento”:
lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista,
dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start – up
innovative di cui al decreto legge n.179 del 18 ottobre 2012 e di ogni altro
debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ovvero a liquidazione
coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice
civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza…
CAPO I STRUMENTI DI ALLERTA
Art. 12
Nozione, effetti e ambito di applicazione
1.
Costituiscono strumenti di allerta gli obblighi oneri di segnalazione
posti a carico dei soggetti di cui agli articoli 14 e 15, finalizzati,
unitamente agli obblighi organizzativi posti a carico dell’imprenditore dal
codice civile, alla tempestiva rilevazione degli indizi di crisi dell’impresa
ed alla sollecita adozione delle misure più idonee alla sua composizione.
2.
Il debitore, all’esito dell’allerta o anche prima della sua
attivazione, può accedere al procedimento di composizione assistita della
crisi, che si svolge in modo riservato e confidenziale dinanzi all’OCRI.
3.
L’attivazione della procedura di allerta da parte dei soggetti di cui
agli articoli 14 e 15, nonché la presentazione da parte del debitore
dell’istanza di composizione assistita della crisi di cui all’articolo 16,
comma 1, non costituiscono causa di risoluzione dei contratti pendenti, anche se
stipulati con pubbliche amministrazioni, né di revoca degli affidamenti bancari
concessi. Sono inefficaci nulli i patti contrari.
4.
Gli strumenti di allerta si applicano ai debitori che svolgono attività
imprenditoriale, esclusi le grandi imprese, i gruppi di imprese di rilevante
dimensione e le società con azioni quotate in mercati regolamentati, o diffuse
fra il pubblico in misura rilevante secondo i criteri stabiliti dal Regolamento
della Consob concernente la disciplina degli emittenti. Tali imprese escluse
sono comunque ammesse a godere delle misure premiali previste dall’articolo
25, se ricorrono le condizioni di tempestività previste dall’articolo 24.
5. Gli
strumenti di allerta si applicano anche alle imprese agricole e alle imprese
minori, compatibilmente con la loro struttura organizzativa, ferma la competenza
dell’OCC per la gestione della fase successiva alla segnalazione dei soggetti
di cui agli articoli 14 e 15 ovvero alla istanza del debitore di composizione
assistita della crisi.
6.
Per le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa ordinaria ai
sensi del capo IV del titolo VII, il procedimento di allerta e di composizione
assistita della crisi è integrato ai sensi dell’articolo 316, comma 1,
lettere a) e b).
7.
La pendenza di una delle procedure di regolazione della crisi e
dell’insolvenza disciplinate dal presente codice fa cessare gli obblighi di
segnalazione di cui gli articoli 14 e 15 e, se sopravvenuta, comporta la
chiusura del procedimento di allerta e di composizione assistita della crisi.
Art. 13 Indicatori della crisi
1.
Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale,
patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche
dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto
conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili
attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti
per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale
per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al
momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi.
Sono indicatori significativi, a questi fini, il rapporto tra flusso di cassa e
attivo, tra patrimonio netto e passivo, tra oneri finanziari e ricavi.
Costituiscono altresì indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e
significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24.
2.
Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili,
tenuto conto delle migliori prassi nazionali ed internazionali, elabora con
cadenza almeno triennale, in riferimento ad ogni tipologia di attività
economica secondo le classificazioni I.S.T.A.T., gli indici di cui al comma 1
che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di
uno stato di crisi dell’impresa. Il Consiglio nazionale dei dottori
commercialisti ed esperti contabili elabora indici specifici con riferimento
alle start-up innovative di cui al decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179,
convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n.221, alle PMI innovative di cui al
decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, convertito, con modificazioni, dalla legge
24 marzo 2015, n. 33, alle società in liquidazione, alle imprese costituite da
meno di due anni. Gli indici elaborati sono approvati con decreto del Ministero
dello Sviluppo economico.
3.
L’impresa che non ritenga adeguati, in considerazione delle proprie
caratteristiche, gli indici elaborati a norma del comma 2 ne specifica le
ragioni nella nota integrativa al bilancio di esercizio e indica, nella medesima
nota, gli indici idonei a far ragionevolmente presumere la sussistenza del suo
stato di crisi. Un professionista indipendente attesta l’adeguatezza di tali
indici in rapporto alla specificità dell’impresa. L’attestazione è
allegata alla nota integrativa al bilancio di esercizio e ne costituisce parte
integrante. La dichiarazione, attestata in conformità al secondo periodo,
produce effetti per l’esercizio successivo.
Art. 15
Obbligo di segnalazione di creditori pubblici
qualificati
Comma 1 e 2
1.
L’Agenzia delle entrate, l’Istituto nazionale della previdenza
sociale e l’agente della riscossione delle
imposte hanno l’obbligo, per i primi due soggetti a pena di inefficacia del
titolo di prelazione spettante sui crediti dei quali sono titolari, per il terzo
a pena di inopponibilità del credito per spese ed oneri di riscossione, di dare
avviso al debitore, all’indirizzo di posta elettronica certificata di cui
siano in possesso, o, in mancanza, a mezzo raccomandata con avviso di
ricevimento inviata all’indirizzo risultante dall’anagrafe tributaria, che
la sua esposizione debitoria ha superato l’importo rilevante di cui al comma 2
e che, se entro novanta giorni dalla ricezione dell’avviso egli non avrà
estinto o altrimenti regolarizzato per intero il proprio debito con le modalità
previste dalla legge o se, per l’Agenzia delle entrate, non risulterà in
regola con il pagamento rateale del debito previsto dall’articolo 3-bis del
decreto legislativo 18 dicembre 1997, n.462 o non avrà presentato istanza di
composizione assistita della crisi o domanda per l’accesso ad una procedura di
regolazione della crisi e dell’insolvenza, essi ne faranno segnalazione all’OCRI,
anche per la segnalazione agli organi di controllo della società.
2.
Ai fini del comma 1, l’esposizione debitoria è di importo rilevante:
a)
per l’Agenzia delle entrate, quando l’ammontare totale del debito
scaduto e non versato per l’imposta sul valore aggiunto, risultante dalla
comunicazione della liquidazione periodica di cui all’articolo 21-bis del
decreto-legge 31 maggio 2010, n.78, convertito, con modificazioni, dalla legge
31 luglio 2010, n. 122, sia pari ad almeno il 30 per cento dei volume d’affari
del medesimo periodo e non inferiore a euro 25.000 per volume d’affari
risultante dalla dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente fino a
2.000.000 di euro, non inferiore a euro 50.000 per volume d’affari risultante
dalla dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente fino a 10.000.000
di euro, non inferiore a euro 100.000, per volume d’affari risultante dalla
dichiarazione modello IVA relativa all’anno precedente oltre 10.000.000 di
euro;
b)
per l’Istituto nazionale della previdenza sociale, quando il debitore
è in ritardo di oltre sei mesi nel versamento di contributi previdenziali di
ammontare superiore alla metà di quelli dovuti nell’anno precedente e
superiore alla soglia di euro 50.000;
c) per l’agente della
riscossione, quando la sommatoria dei crediti affidati per la riscossione dopo
la data di entrata in vigore del presente codice, autodichiarati o
definitivamente accertati e scaduti da oltre novanta giorni superi, per le
imprese individuali, la soglia di euro 500.000 e, per le imprese collettive, la
soglia di euro 1.000.000.
3 -Risultati e discussione. Brevi appunti.
Definizione del concetto di crisi.
Negli articoli del CCI sopra indicati, emerge
una realtà giuridica facilmente rappresentabile: da un lato l’impresa,
descritta quale sistema di valori in evoluzione non codificabile entro leggi
rigide e parametrate; dall’altro la stessa realtà analizzata e giudicata in
base a criteri aziendalistici e giuridici che non possono assolutamente portare
ai risultati previsti e richiesti dalla norma.
Per definire cosa è la crisi bisogna pensare che, essendo lo scopo dell’impresa accrescere il
valore del capitale economico, non solo un andamento negativo del valore,
derivabile sia dall’incapacità di realizzare i flussi di reddito o di cassa
attesi sia dall’aggravamento del livello di rischio delle strategie aziendali
è configurabile come crisi, ma anche una situazione di staticità o diminuzione
del valore è interpretabile come segnale di potenziali squilibri. Ne consegue
quindi che, quando la perdita di flussi risulti “sistematica e irreversibile
senza interventi risanatori o di ristrutturazione” si può parlare di crisi
dell’economicità dell’impresa che si traduce quasi sempre in gravi carenze
sul piano finanziario: crisi di liquidità, difficoltà nell’accesso al
credito e perdita di fiducia degli stakeholders aziendali. Quando la crisi
raggiunge il suo massimo livello, allora si comincia a parlare di insolvenza,
che rappresenta una condizione permanente di squilibrio patrimoniale,
irrimediabile senza l’assenso dei finanziatori a rinunciare alla riscossione
immediata dei crediti loro spettanti.
Possono essere identificate cinque grandi
macroclassi di cause dalle quali può originarsi lo stato di declino e/o crisi:
a)
declino e crisi da inefficienza;
b)declino e crisi da sovracapacità/rigidità;
c)declino e crisi da decadimento dei prodotti
e da carenze ed errori di marketing;
d)crisi da incapacità a programmare, da
errori di strategia e da carenza di innovazione;
e)crisi da squilibrio finanziario.
a)
Inefficienza. Nell’area della produzione
l’inefficienza può essere ricondotta, per
esempio, alla disponibilità di strumenti totalmente o parzialmente
obsoleti, alla mancanza di competenza o di impegno della manodopera,
all’utilizzo di tecnologie superate o a un’allocazione non ottimale degli
impianti; nell’area commerciale può essere causata da una sproporzione
tra i costi di marketing e i costi sostenuti per la creazione e la gestione
delle reti di vendita, da un lato, e i risultati che ne sono derivati,
dall’altro; nell’area amministrativa se si registrano eccessi di
burocratizzazione, gravi carenze nel sistema informativo oppure un’operatività
insoddisfacente in uno o più settori dell’attività amministrativa; nell’ambito organizzativo, per
assenza degli strumenti tipici
di programmazione e controllo e di quelli di pianificazione a medio lungo
termine, a un’opacità nella definizione dei compiti e delle responsabilità,
a un’erronea determinazione dei risultati conseguiti da singoli gruppi, a un
collegamento inidoneo tra risultati e compensi oppure a disfunzioni
nell’organizzazione del lavoro produttivo, degli uffici, della manutenzione,
degli impianti, degli acquisti o, addirittura, del disegno organizzativo globale
dell’azienda; nell’ambito dell’attività finanziaria le
inefficienze si manifestano sotto forma di un più alto costo delle risorse
raccolte in
virtù di una debolezza contrattuale dell’azienda o dell’incapacità degli
addetti alla funzione finanziaria.
b)
Sovracapacità. Di fatto è un eccesso di capacità
produttiva rispetto alle possibilità di collocamento sul mercato.
c)
Errori
di marketing. In genere si
traducono in un mix di prodotti errato non in grado di soddisfare le esigenze
della clientela target; o in una caduta dell’immagine o della marca
dell’impresa; o in una scarsa conoscenza
del nome del produttore, delle marche e dei prodotti; o in errori nella
scelta dei mercati, del target di clientela o delle nicchie, nello scadimento
dei servizi offerti alla clientela; o in carenze ed eccessiva onerosità
dell’apparato distributivo.
d)
Errori di strategia. Incapacità di sviluppare nuove idee;
mancanza di abilità nell’adattare le condizioni della gestione alle
variazioni dell’ambiente esterno; difficoltà a predisporre budget e programmi
a lungo termine individuando con precisione gli obiettivi da aggiungere. Di
fatto, gli errori nella strategia che possono originare una distruzione di
valore sono molteplici e tra questi si
possono ricordare: l’insistere in attività che generano risultati negativi e
che non presentano possibilità di inversione di tendenza; l’entrata in nuove
aree lontane dal proprio core business e delle quali l’azienda non possiede le
competenze basilari per poter sostenere lo scontro competitivo; l’avvio di
fasi di sviluppo eccessivamente veloci, pur non possedendo adeguate disponibilità
finanziarie e manageriali; il tentativo di conquista di nuovi mercati
sopportando ingenti perdite di partenza; la dispersione di risorse in progetti
di ricerca che non producono risultati apprezzabili; il perseguimento di
obiettivi non realistici.
e)
Squilibrio
finanziario.
Identificabile in una
grave carenza di mezzi propri, in una marcata prevalenza dei debiti a
breve termine rispetto ai debiti a medio/lungo termine, in una mancata
correlazione tra investimenti duraturi e finanziamenti stabili, in limitate o
nulle riserve di liquidità, in scarsa capacità di contrattare le condizioni
del credito e, nei casi più gravi, in difficoltà nel rispettare i pagamenti
alle scadenze definite.[1]
La percezione immediata dei sintomi
indicatori di uno stato di distruzione del valore è fondamentale per aumentare
le probabilità di conservazione dell’impresa in funzionamento; è chiaro
quindi che l’allerta, così come disegnata dalle prime bozze della riforma,
avrebbe dovuto essere lo stadio nel quale veniva fornito all’imprenditore o
all’organo amministrativo lo strumento per questa immediata percezione. Ma ciò
che si legge nell’attuale previsione normativa, non soddisfa affatto la
possibilità di creare all’interno dell’impresa quella percezione sopra
indicata.
ART. 13 CCI – Strumenti per la verifica
dell’esistenza della crisi
Nell’articolo 13 del CCI, gli strumenti
indicati per tale verifica, sono indici.
L’indice è un elemento di analisi, ormai
per unanime dottrina, che può dare unicamente risultati statici, incapaci
quindi di verificare una realtà fluida quale è quella dell’impresa,
quantomeno nell’analisi della sostenibilità dei debiti e della continuazione
dell’attività nei sei mesi successivi come previsto dalla norma.
Solo in teoria l’analisi per indici
potrebbe dare delle indicazioni o delle tendenze, perché in realtà si tratta.
Come già detto, di un’analisi statica mentre la gestione è tipicamente
caratterizzata dal requisito della dinamicità.
L‘analisi del bilancio d’esercizio
condotta per indici è, tra gli strumenti disponibili, quella di cui più spesso
viene messa in discussione l’utilità in ragione del fatto che i dati
contabili sui quali sono costruiti gli indici risentono di un ineliminabile
livello di astrazione e di ipotesi formulate dagli amministratori che redigono
il bilancio, tale da renderlo scarsamente rappresentativo della realtà
nonostante il rigoroso dettato normativo che guida la sua redazione. Tuttavia,
se da una parte è vero che l’affidabilità di un bilancio è legata
all’attendibilità dei dati contabili sui quali è costruito, è utile tenere
presente che i risultati che emergono dall’analisi per indici condotta sui
bilanci delle aziende non offrono un giudizio unico ed inequivocabile: esso è
infatti sempre legato alla capacità interpretativa dell’analista, sia esso
interno che esterno, questa dipendendo dal grado di esperienza e dalla
conoscenza delle motivazioni e delle ipotesi che hanno guidato gli
amministratori nella redazione del bilancio.[2]
Lo scrivente, quindi, si permette di indicare
quale strumento più idoneo un’indagine per flussi, che potrebbe generare
un’attendibile verifica dell’allerta in merito alla continuità aziendale;
ma l’analisi per flussi assume un significato aziendalistico se effettuata non
a posteriori su dati storici, ma bensì in un sistema organizzato dato da un
insieme di piani a lungo termine, budget esplicativi di quei piani, strumenti
per la verifica a posteriore degli scostamenti, analisi degli scostamenti,
ricerca della soluzione per annullare gli scostamenti. E ciò perché il
fenomeno della crisi d’impresa si configura come un fenomeno di
natura sistemica, che interessa l’impresa nella sua interezza e si
materializza in un processo degenerativo autoalimentantesi che solo un processo
di segno opposto può rimediare e annullare.
L’adozione di metodologie basate sui flussi
si confà meglio alle situazioni di continuità poiché prevede nelle sue
metodologie l’analisi di singoli asset espressi al valore d’uso.
Occorre far presente come, allorquando il processo di risoluzione della crisi
sia stato avviato e/o portato a compimento anche solo con la riduzione
dell’indebitamento e/o la ridefinizione delle scadenze di rimborso dello
stesso, si venga inevitabilmente a creare una discontinuità tra l’andamento
dei flussi storici e di quelli prospettici e questa discontinuità è quello scostamento il cui studio
realizza risultati nell’impresa. Un
ulteriore elemento da considerare nella stima dei flussi attesi, distinti per
singolo periodo, attiene all’effettiva coerenza tra flussi in entrata e flussi
in uscita.
Il presupposto dell’analisi attraverso la
quantificazione dei valori dell’impresa risiede nella possibilità di
combinare sinergicamente le risorse esistenti con nuove prospettive gestionali,
al fine di avviare un processo virtuoso.
E’ importante, quindi, codificare la
metodologia per la valorizzazione delle risorse, secondo il seguente schema:
valore per il mercato (vitale per i clienti e per il mercato); grado di unicità;
durevolezza; estensibilità (opzioni
reali).
La comprensione del contesto valutativo si
raggiunge tramite l’acquisizione della base informativa, la quale comprende
un’analisi strategica concernente il quadro macroeconomico, quello settoriale
e quello specifico dell’unità oggetto di stima, un’analisi quantitativa dei
risultati storici e poi delle previsioni sia degli scenari futuri sempre
relativi ai tre quadri, sia dei flussi economici e finanziari della medesima
unità.
E’ importante quindi analizzare l’impresa
secondo tre contesti valutativi: se
l’impresa è in tensione finanziaria (con o senza equilibrio economico); se
l’impresa è in disequilibrio economico e in crisi reversibile; se l’impresa
è in disequilibrio economico e in crisi irreversibile. La varietà di
indicatori o leve impiegabili per definire lo stato in cui l’azienda versa, e
soprattutto le possibili strade di uscita dallo stesso, comporta che i confini
di ciascun contesto valutativo non possano essere tracciati in
modo oggettivo, nonostante il ricorso alle grandezze economico-finanziarie. Il
passaggio di un’azienda da un contesto all’altro può essere lento o
repentino a seguito di un evento significativo sulla dinamica dei flussi e sui
conseguenti equilibri di bilancio.
L’obiettivo è individuare le condizioni di
applicabilità e i criteri, in relazione ai quali scegliere il metodo più
corretto per procedere alla valutazione di un’azienda per verificarne
l’eventuale stato di crisi.
In definitiva si può quindi dire che una prima
analisi dinamica dell’impresa necessiti dei seguenti criteri di valutazione:
a)valutazioni
di tipo patrimoniale.
La formulazione del metodo patrimoniale
semplice è la seguente:
Ve = K0 = C + [ΣP – ΣM] (1- t)
dove:
Ve è il valore del capitale economico,
K0 è il capitale netto rettificato a valori
correnti, C è il capitale netto contabile,
P sono le plusvalenze originate dagli
elementi patrimoniali, M
sono le minusvalenze originate dagli elementi patrimoniali
t è
l’aliquota fiscale
potenziale da
applicarsi al
saldo (se
positivo) fra
plusvalenze e minusvalenze.
La formulazione del metodo Patrimoniale
Complesso è la seguente:
Ve = K’0 + BI (1-t)
dove:
K’0 è il patrimonio netto rettificato con
esclusione dei beni immateriali, BI sono i beni immateriali.
b)valutazioni reddituali. I metodi reddituali si basano
sull’assunto che la capacità reddituale è la grandezza che meglio descrive
il valore aggregato dell’azienda, nella prospettiva che il valore
dell’azienda si identifichi con la sommatoria dei flussi economici ottenibili
a cui si aggiunga, laddove l’orizzonte temporale sia limitato, il valore
finale. Ai fini di una maggiore significatività della stima, è opportuno
tenere conto dei risultati economici attraverso il ricorso a verifiche
reddituali, effettuabili individuando non solo le attività e le passività, ma
anche prodotti, tecnologie, mercati e clientela.
c) valutazioni che esplicitano la
creazione di valore.
d)valutazioni di tipo finanziario.
e)
valutazioni comparative di mercato.
E’ chiaro che questo tipo di valutazioni
non sono riconducibili al dettame di cui all’articolo 13 CCI; ne consegue che
un’analisi fatta secondo le indicazioni del codice potrebbe portare alla
creazioni di imprese false positive
rispetto alla verifica di uno stato di crisi. E che le imprese che, non
rientrando nella casistica di cui alla definizione di sovraindebitamento,
volessero dotarsi degli strumenti corretti, come sopra indicati, avrebbero la
necessità di affrontare grossi investimenti che potrebbero mettere a rischio il
loro equilibrio economico e finanziario.
Ciò che sarà indispensabile, quindi, per
poter procedere a una reale verifica della situazione dell’impresa che
consenta se non un’applicazione della norma, quanto meno la possibilità di
difesa da denunce di stati di allerta per falsi positivi, sarà dotarsi di un
sistema di analisi interna per flussi di cui di seguito viene data una sintesi,
prevista peraltro dalla normativa vigente all’articolo 2425-ter del codice
civile.
Operazione preliminare e necessaria per
l’analisi del bilancio – per indici e per flussi - è la riclassificazione
del bilancio d’esercizio civilistico, riclassificazione che potrà essere
condotta adottando due criteri diversi, il criterio funzionale e il criterio
finanziario; dove il criterio finanziario risulta più importante e quindi
predominante.
Le voci dello Stato Patrimoniale iscritte
nell’attivo – o Impieghi, o Capitale Investito,
o Fabbisogno
Finanziario Lordo
- devono essere riclassificate
in base
al tempo
di recupero,
dunque in relazione alla loro capacità di conversione in forma monetaria entro
od oltre l’esercizio.
Secondo questa logica si distingue l’attivo
patrimoniale in due macrocategorie:
- Attivo
fisso o Immobilizzazioni,
- Attivo
corrente o Circolante.
Analogamente, le voci di Stato patrimoniale
iscritte nel Passivo (o Fonti di Finanziamento o Struttura Finanziaria) devono
essere riclassificate in base alla natura dei finanziatori, ossia in relazione
al fatto che esse siano apportate da Soci
o da Possessori
di quote del capitale sociale o da Finanziatori terzi esterni, distinguendo tra
Finanziatori in Capitale di Rischio e
Finanziatori in Capitale di Credito. Le fonti di finanziamento sono
ulteriormente riclassificate in base alla loro durata, ossia in relazione al
tempo di rimborso, individuato nel parametro temporale dell’esercizio[3].
Distingueremo quindi le Fonti finanziarie del
capitale permanente (o Capitale
proprio o Patrimonio Netto o Finanziamenti
a lungo
termine erogati
a favore
dell’azienda sotto
forma di indebitamento o
passività consolidate) dalle Fonti finanziarie a breve termine o passivo
corrente.
Il documento per la ricostruzione dei flussi
finanziari della gestione è il principio contabile “OIC 10, Rendiconto
finanziario”[4],
documento peraltro reso obbligatorio dall’articolo 2423, comma 1, del codice
civile, il cui scopo è quello di definire i criteri per la redazione e
presentazione dei flussi finanziari generati e/o assorbiti dalla gestione
complessivamente considerata ricostruendo le cause di variazione delle
disponibilità liquide nell’esercizio al fine di valutare la situazione
finanziaria della società, o del gruppo di imprese, e la sua evoluzione nel
tempo. Il rendiconto finanziario fornisce inoltre altre informazioni sulle
disponibilità liquide prodotte/assorbite dall’attività operativa e modalità
di impiego/copertura, sulla capacità di far fronte agli impegni finanziari a
breve termine, sulla capacità di
autofinanziamento.
Per la redazione del rendiconto finanziario
viene quindi calcolato il flusso finanziario determinabile con due metodi:
il metodo diretto e il metodo indiretto.
Nel metodo indiretto il Flusso finanziario della gestione reddituale
viene ricavato partendo dal risultato economico dell’esercizio ed effettuando
le rettifiche relative alle seguenti voci: operazioni che non hanno determinato
variazioni monetarie e componenti di reddito associati ai flussi derivanti dalle
attività di investimento e di finanziamento. Si tratta quindi di una
riconciliazione tra il reddito economico, calcolato sulla base del principio di
competenza e il flusso di cassa monetario generato dalla gestione corrente.
Nel metodo diretto, che è quello più
semplice da un punto di vista concettuale e più efficace da un punto di vista
espositivo, vengono fornite informazioni che possono essere utili nella stima
dei futuri flussi finanziari che non sono disponibili con il metodo indiretto, e
sono altresì oggetto di analisi:
- gli
aggregati contabili stock prevalentemente utilizzati dalla dottrina e necessari
a misurare i flussi finanziari della gestione aziendale,
- la
variazione degli aggregati stock individuati quale espressione del flusso
finanziario della gestione,
- i
modelli di rendiconto finanziario resi disponibili dalla dottrina e dalla
prassi.
Nel Rendiconto Finanziario, quindi, le
variazioni sono rappresentate dai flussi finanziari le cui variabili sono date
da aumenti e diminuzioni derivanti dall’attività operativa, dall’attività
di investimento e dall’attività di finanziamento; e l’attività operativa
è data dalle operazioni connesse all’acquisizione, produzione e distribuzione
di beni e alla fornitura di servizi, anche se riferibili a gestioni accessorie;
l’attività di investimento è data dalle operazioni di acquisto e di vendita
delle immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie e delle attività
finanziarie non immobilizzate; e l’attività di finanziamento è data dalle
operazioni di ottenimento e di restituzione delle disponibilità liquide sotto
forma di capitale di rischio o di capitale di debito.[5]
L’attuale versione del principio contabile
che norma la costruzione del rendiconto finanziario indica esplicitamente un
preciso aggregato contabile di riferimento, ovvero le disponibilità liquide. Il
nuovo principio contabile raccomanda l’utilizzo di questo unico aggregato e,
pertanto, anche l’adozione di un unico modello di rendiconto atto a
rappresentare i flussi finanziari generati e/o assorbiti dalla gestione: il
rendiconto finanziario delle disponibilità liquide costruito sulla base di
quello adottato nella prassi internazionale al fine di favorire la comparabilità
nel tempo e nello spazio tra
bilanci aziendali, o tra gruppi di imprese.[6]
Le diverse definizioni e configurazioni del
flusso di cassa fanno emergere un ulteriore interrogativo: posto che il flusso
di cassa di periodo si intende in termini di gestione complessiva, come è
possibile misurare il solo flusso di cassa della gestione reddituale?
I modelli di rendiconto finanziario possono
infatti presentare tra di essi differenze significative tali per cui
l’informativa sui flussi finanziari che da essi si ricava può risultare non
immediatamente comparabile. È rilevante pertanto sottolineare che i modelli di
rendiconto finanziario utilizzati per la misurazione dei flussi finanziari della
gestione devono indicare sinteticamente la potenza finanziaria della sola
gestione reddituale, al fine
di valutare la capacità dell’azienda
di remunerare i fattori
produttivi impiegati con
i soli risultati prodotti dal
suo core business.
L’attuale aggregato utilizzato per la
ricostruzione dei flussi finanziari e l’esposizione nel documento
“rendiconto finanziario” secondo il principio contabile OIC 10 è noto come
“disponibilità liquide”, definite dal principio contabile intitolato ad
esse (OIC 14). Esso è nella sostanza lo stesso aggregato già utilizzato;
tuttavia il principio contabile OIC 14 ne definisce in maniera precisa la
composizione, ponendo l’attenzione su alcuni punti di interesse tra i quali,
ad esempio,
‐ la
gestione della tesoreria in pool (cash pooling),
‐ i
casi particolari di gestione di talune operazioni per il calcolo delle
disponibilità liquide effettive (sospesi di cassa e casse funzionanti a fondo
fisso),
‐ l’inclusione
del Rendiconto Finanziario nella Nota Integrativa e non più nella Relazione
sulla Gestione.
Per l’individuazione dell’aggregato in
oggetto sono considerati i depositi bancari
e postali,
gli assegni, il denaro e altri valori in cassa, comprendendo anche gli
stessi aggregati qualora espressi in valuta estera.
L’aggregato “disponibilità liquide”
non ricomprende le cambiali attive in portafoglio, i titoli a breve termine
nonché i cosiddetti “sospesi di cassa” definiti come “uscite di numerario
già avvenute ma che non sono state ancora registrate, in attesa della
documentazione necessaria alla loro rilevazione contabile”.
ART. 15 CCI
Il meccanismo di emersione della crisi
previsto dall’articolo 15 CCI, interessa il comportamento fiscalmente
rilevante dell’impresa. E’ interessante, però, porre una particolare
attenzione sulla modalità descritta sul comportamento ai fini IVA
dell’impresa per stabilirne lo stato di crisi.
Infatti, la norma prende in considerazione
unicamente il debito IVA risultante dalla liquidazione periodica ex art. 21-bis
del DL 78/2010 “da versare” (rigo VP14 colonna 1), e non necessaria- mente
quello scaduto e non versato.
Infatti, la comunicazione trimestrale non
prevede l’indicazione dei versamenti; da ciò ne deriva che se il debitore non
ha versato l’IVA nel periodo precedente, il modello non ne tiene praticamente
conto perché l’unico rigo che contempla il riporto del debito del periodo
precedente è il VP7, dove però può essere indicata una cifra fino a un
massimo di € 25,82.[7]
Quindi l’aver individuato la soglia del 30%
del volume d’affari del periodo
precedente quale valore rilevante ai fini dell’emersione della crisi, rende di
fatto impossibile ogni segnalazione per il semplice fatto che l’aliquota
ordinaria è del 22% e che quindi il 30% indicato non può mai essere raggiunto.
Praticamente, chiunque può non versare
l’IVA perché il sistema non lo individua.
Quale sarà poi il comportamento da
utilizzare per quelle imprese che abbiano legittimamente fruito ai fini IVA di
una proroga di tre anni dei termini di scadenza degli adempimenti fiscali
ricadenti entro un anno dalla data dell’evento lesivo quale può essere la calamità
naturali, oppure per aver opposto rifiuto a richieste di natura estorsiva (o non
avendovi aderito abbiano subito nel territorio dello Stato un danno a beni
mobili o immobili in conseguenza di fatti delittuosi commessi, anche al di fuori
di un vincolo associativo, per il perseguimento di un ingiusto profitto)?
Il mancato coordinamento fra il CCI e il
nuovo codice antimafia, creerà molteplici criticità di cui al momento non si
vede la risoluzione.
4 - Conclusioni
Alla luce di quanto sopra esposto, ritiene lo
scrivente che non vi sia altra strada se non quello di una illuminazione del
Legislatore che apporti al CCI le opportune correzioni.
Per quanto attiene l’articolo 13, stabilire
nuovi e più dinamici strumenti, quali a esempio quelli indicato in questo
articolo, per la valutazione dello stato endemico dell’impresa.
Per quanto invece riguarda l’articolo 15,
si suggerisce[8]
la modifica dell’articolo 15 seguendo una delle due strada di seguito
indicate:
a)
cambiare il modello della comunicazione
periodica ex art. 21-bis del DL 78/2010 al fine di inserire anche il dato
dell’imposta non pagata ampliando la portata del rigo VP7 come tempi ed
importo; introdurre nel predetto modello un rigo che evidenzi gli importi
scaduti non versati ma oggetto di regolariz zazione in corso (oggi limitato ad
€ 25,82) armonizzando il modello con tutte le esigenze e le eccezioni che la
normativa fiscale prevede.
b)
introdurre[9]
regole analoghe a quelle previste per l’esposizione verso l’INPS (art. 15
comma 2 lett. b), o un
limite massimo percentuale, ponendo a confronto due grandezze già in possesso
dell’Agenzia delle Entrate:
il debito IVA scaduto complessivamente non versato dal soggetto passivo e
il volume d’affari risultante
dall’ultima dichiarazione annuale IVA presentata dal contribuente.
Con l’applicazione di uno dei due
correttivi sopra indicati l’obbligo di segnalazione ex art. 15 CCI diventa uno
strumento semplice, oggettivo, incontrovertibile, efficace ed efficiente in
termini di restituzione di falsi positivi o negativi e quindi privo quasi del
tutto di possibilità di contenzioso.
Si può inoltre ritenere che la segnalazione
ex art. 15 CCI diventerebbe simile a quella già esistente di cui all’art
21-bis comma 5 del DL 78/2010, ovvero la “lettera di compliance” che
consente anche oggi all’impresa di sanare la sua posizione con lo strumento
del ravvedimento operoso ex D. Lgs 472/1997 mediante l’applicazione di
sanzioni ridotte rispetto alla previsione di cui all’art. 15 comma 2 ovvero
dell’avviso bonario ex art. 3-bis del D. Lgs 462/1997 dandogli quindi
un’opportunità in più.
Si ritiene in ogni caso che, avendo voluto il
Legislatore inserire nella norma elementi aziendalistici, una revisione del
testo utilizzando gli strumenti più moderni e più idonei delle teorie
aziendalistiche sarebbe auspicabile e salvaguarderebbe le imprese dai “falsi
positivi” che l’applicazione della norma così come si presenta
sicuramente genererà.
[1]
Il principio contabile OIC 6, Ristrutturazione del debito e informativa di
bilancio, definisce una situazione di difficoltà finanziaria “quando il
debitore presenta un rapporto squilibrato tra il
fabbisogno finanziario e
le fonti
di finanziamento, tale
da essere inadempiente alle scadenze degli impegni assunti”,
ravvisando i seguenti indicatori: “a. il debitore è in una situazione di
difficoltà ad adempiere ad alcune delle sue obbligazioni, per capitale e/o
interessi; b. vi possono essere fondati dubbi in merito al fatto che il
debitore si trova in una situazione di continuità aziendale (going concern);
c. il debitore stima che i flussi finanziari generati dalla propria gestione
non siano sufficienti ad estinguere il debito sia in termini di quota
capitale che di quota interessi, in base agli originali termini contrattuali
e fino alla sua scadenza; d. il debitore non è in grado di ottenere risorse
finanziarie a tassi correnti di mercato, per debiti con caratteristiche
similari non oggetto di ristrutturazione se non dall’attuale creditore”.
2 Le cause di crisi
possono essere classificate in:
-
crisi da sovraccapacità produttiva che può trovare soluzione solo
attraverso azioni industriali volte alla riduzione della stessa ovvero
all’incremento dei volumi (anche attraverso linee esterne di crescita e
cioè l’acquisizione di quote di mercato per il tramite
dell’aggregazione di altri operatori);
-
crisi da inefficienza tecnica od organizzativa, che necessitano di
ristrutturazione organizzativa e di processo volta a ristabilire una
produttività adeguata dei fattori produttivi;
-
crisi da decadimento dei prodotti nelle fasi terminali del loro ciclo
di vita, il cui superamento può avere luogo solo attraverso azioni radicali
sul modello di business;
-
crisi da carenza di pianificazione, che spesso si sostanziano nel
sostenimento di investimenti eccessivi rispetto alle risorse finanziarie
dell’impresa o in azioni confliggenti con le logiche di creazione del
valore che caratterizzano l’impresa (value proposition);
-
crisi finanziarie derivanti da: i) un impiego eccessivo
dell’indebitamento finanziario rispetto ai mezzi propri (leva
finanziaria); ii) dall’impropria copertura dei fabbisogni finanziari
derivanti da immobilizzazioni con risorse finanziarie a breve termine; iii)
da un decadimento della qualità dei crediti commerciali; iv) da un
peggioramento del mismatching tra tempi di incasso dei crediti e di
pagamento dei debiti.
[2]
CARAMIELLO C., Indici di bilancio, Giuffrè, Milano, 1993, pag 3. In questo
senso anche FACCHINETTI I., Le analisi di bilancio, Il Sole 24 Ore, Milano,
2000.
[3]
5 È possibile adottare anche un
parametro diverso come il ciclo operativo della gestione. Tuttavia,
l’esercizio è il parametro temporale che ha trovato maggiore diffusione
nell’analisi del bilancio in base al fatto che esso non
è equivocabile in quanto il periodo temporale per la
rappresentazione degli effetti delle operazioni di gestione è sempre
indicato in dodici mesi, anche laddove la data di inizio e fine
dell’esercizio non dovessero essere allineate al 1 gennaio ed al 31
dicembre
[4]
legge n. 116 del 2014,
[5]
L' analisi di bilancio per indici e per flussi. Profili teorici e dinamiche
operative. Pierpaolo Ceroli,Marco Ruggier 2013
[6]
Gli aggregati rappresentativi delle risorse finanziarie possono essere
indicate come segue: risorse totali (o Total Found); capitale circolante
netto (secondo varie configurazioni); liquidità immediate (eventualmente
comprensive anche delle risorse “equivalenti” come i titoli facilmente
negoziabili); posizione finanziaria netta a breve; posizione finanziaria
complessiva. La letteratura prevalente sull’analisi per flussi può essere
ricondotta ai seguenti autori. Mariani-Silva Il controllo dei flussi di
cassa 2014
[7]
G. Russotto. EMERSIONE ANTICIPATA DELLA CRISI: E’ POI COSÌ NECESSARIO L'ART.
13? – Il Caso 4 dicembre 2018
[8]
G. Russotto. EMERSIONE ANTICIPATA DELLA CRISI: E’ POI COSÌ NECESSARIO L'ART.
13? – Il Caso 4 dicembre 2018
[9]
Cfr, Michele Bana - Nella riforma fallimentare allerta IVA dell’Agenzia
delle Entrate da chiarire. Eutekne.Info 29.11.2018
PROPRIETA’
LETTERARIA RISERVATA ©
La presente pubblicazione ed i materiali riportati sul sito sono tutelati dal
Diritto d’Autore e sono destinati all’utilizzo da parte dei singoli
operatori del diritto, che hanno le più
ampie facoltà di utilizzo a titolo esclusivamente personale di lavoro e di
studio.
Ad eccezione di detta modalità di utilizzo, sono riservati tutti i diritti di
riproduzione e di adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo ivi
compreso la pubblicazione, in tutto o in parte, in riviste, libri, giornali,
siti internet o su altri mezzi di diffusione.
Eventuali utilizzi diversi da quello autorizzato, potranno avvenire solo a
seguito di specifica autorizzazione preventiva e scritta rilasciata dagli
Autori.