LA
RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE DEI SOCI LIMITATAMENTE RESPONSABILI
Il
raccordo tra l’art. 2495 cc e la sentenza Cassazione Civile, sez.
tributaria, del 19.04.2018 n. 9672.
A
cura di Maria Lucetta Russotto e Francesco Angeli
SOMMARIO
1.
Il caso; 2. La previsione civilistica; 3. La giurisprudenza di legittimità;
4. Conclusioni.
1.
il caso
Con
la sentenza n. 9672/2018 5 i Giudici della suprema Corte di Cassazione hanno,
nuovamente, affrontato il complesso rapporto debitorio che intercorre tra
società di capitali estinta ed i soci della stessa.
La
questione sottoposta ai Giudici di legittimità riguarda una cartella di
pagamento emessa dall’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 36 bis DPR
n. 600/73 nei confronti di una società a responsabilità limitata che è
stata cancellata dal Registro delle Imprese dopo l’emissione della sentenza,
totalmente favorevole alla società contribuente, della Commissione Tributaria
Regionale della Puglia.
L’Agenzia
delle Entrate ha proposto ricorso alla suprema Corte di Cassazione
notificandolo, stante l’intervenuta cancellazione della società dal
registro delle imprese, ai soci ed al liquidatore i quali si sono tutti
costituti nel giudizio eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.
2.
la previsione civilistica
L’art.
2495 cc dispone che dopo la cancellazione della società dal Registro delle
Imprese, i creditori sociali che non sono stati soddisfatti possono far valere
i loro crediti nei confronti dei soci fino alla concorrenza delle somme da
questi riscosse in base alle previsioni del bilancio finale di liquidazione.
La
questione relativa alla sussistenza di una responsabilità personale dei soci di società di capitali, in caso di cancellazione della società
dal Registro delle Imprese in presenza di debiti sociali, è connessa alla
natura dichiarativa o costitutiva della formalità pubblicitaria della
cancellazione riguardo al momento in cui può considerarsi effettivamente
avvenuta l’estinzione della società.
Prima della riforma del diritto societario del 2003, la
giurisprudenza maggioritaria riteneva che la formalità della cancellazione
avesse natura meramente dichiarativa ed in quanto tale non fosse condizione
sufficiente a determinare l’estinzione della società in caso di
sopravvivenze attive o sopravvenienze passive. Secondo tale tesi
giurisprudenziale, era la società che doveva essere chiamata a rispondere
degli eventuali debiti residui o sopravvenuti, previa revoca della procedura
di cancellazione dal Registro delle Imprese, ponendo a base l’assunto che la
cancellazione era stata eseguita senza i presupposti di legge.
Con la riforma del diritto societario del 2003 il legislatore, con
la modifica dell’art. 2495 cc, ha definitivamente sancito la natura
costitutiva della formalità di cancellazione della società dal Registro
delle Imprese prevedendo come l’eventuale debito sopravvenuto non possa
precludere né impedire l’estinzione della società stessa.
3.
la giurisprudenza di legittimità
La
suprema Corte di Cassazione in passato ha già affrontato la questione della
responsabilità dei soci per i crediti sociali non soddisfatti con due
sentenze, di fatto, identiche che sono la n. 6070/2013 e la 6072/2013.
In
particolare con le due sentenze i Giudici di legittimità hanno sancito:
a)
il creditore, se la società convenuta viene cancellata dal Registro delle
Imprese in pendenza di giudizio, non
deve iniziare un nuovo giudizio contro i soci che ritenesse responsabili ex
art.2495 cc ma è sufficiente che proceda alla riassunzione di quello proposto
nei confronti della società - interrotto - direttamente contro i soci stessi
essendo successori naturali della società estinta;
b) il creditore può avere l’interesse ad agire anche nel caso in cui il
socio eccepisca di non aver percepito beni dal riparto finale di liquidazione,
perché in caso di sopravvenienze attive della società cessata ne diverrebbe
comunque titolare quale successore della società stessa;
E’
bene precisare che con la sentenza n. 6070/2013 e con la sentenza n. 6072/2013
i Giudici di legittimità hanno affrontato due fattispecie simili ma non
identiche da quella affrontata dai Giudici con la sentenza n. 9672/2018
difatti le prime due sentenze hanno delineato la sorte dei residui
patrimoniali attivi non liquidati prima della cancellazione della società dal
Registro delle Imprese.
Con
la sentenza n. 6070/2013 e con la sentenza n. 6072/2013 viene sancito che:
a)
i debiti sociali non ancora soddisfatti si trasferiscono in capo ai soci
limitatamente a quanto riscosso a seguito della liquidazione in virtù di una
successione dei rapporti tra società – estinta – e i soci che la
partecipavano;
b)
le pretese sconosciute/non azionate si intendono rinunciate;
c)
i beni certi e liquidi , anche futuri/non conosciuti ,cadranno in contitolarità/comunione
indivisa tra i soci;
La
sentenza n. 9672/2018 riguarda, invece, il recupero di crediti da parte
dell’Erario per mancati versamenti tributari accertati, definitivamente,
successivamente alla cancellazione della società dal Registro delle Imprese.
Premesso
che i soci si sono difesi opponendo l’assenza di qualsivoglia riparto finale
in loro favore, i Giudici precisano che tale circostanza non è idonea ad
impedire l’azione del creditore giacché la ratio dell’art. 2495 cc è
quello di evitare l’espropriazione del diritto del creditore da parte della
società debitrice chiudendo la liquidazione e cercando di “azzerare” i
debiti.
Ecco
che dirimente appare proprio il concetto espresso dai Giudici di legittimità:
“il creditore mantiene comunque - sempre processualmente parlando -
l’interesse ad agire perché interesse dinamico e non limitato
dall’effettivo riparto che può essere avvenuto o meno.”
Ed
infatti nella sentenza 9672/2018 si legge che “come condivisibilmente osservato nei citati precedenti, poi, la
circostanza che i soci abbiano goduto o meno di un qualche riparto, non è
dirimente neppure ai fini dell'interesse ad agire del Fisco creditore. Le
Sezioni Unite, invero, hanno riconosciuto che la circostanza si potrebbe
riflettere sul requisito dell'interesse ad agire, ma hanno ammonito che il
creditore potrebbe avere comunque interesse all'accertamento del proprio
diritto. Si può porre il caso, che le stesse Sezioni Unite hanno esaminato,
di diritti e beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società
estinta, i quali pur sempre si trasferiscono ai soci, in regime di
contitolarità o comunione indivisa, con la sola esclusione delle mere
pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora
incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto
un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato
espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi
abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento
estintivo (v., al riguardo, Cass. 19 ottobre 2016, n. 21105, che ha
riconosciuto l'interesse ad agire del creditore che abbia esperito azione
revocatoria ove la società debitrice alienante si sia estinta per
cancellazione dal registro delle imprese).
La possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile
esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono,
dunque, di escludere l'interesse dell'Agenzia a procurarsi un titolo nei
confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell'interesse ad
agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti. E
l'esistenza di questi beni o crediti comporta, come pure rilevato dalle
Sezioni Unite, che tra i soci medesimi s'instauri "un regime di
contitolarità o di comunione indivisa".
4.
conclusioni
Si
può concludere affermando che la
responsabilità del socio verso i creditori, dunque, sorge per il semplice
fatto della esistenza di creditori che non hanno potuto concorrere alla
liquidazione del patrimonio sociale sino a loro soddisfazione e ciò a
prescindere da qualsiasi limitazione “quantitativa” di tale responsabilità.
Inoltre, l’interesse ad agire dei creditori deve intendersi in senso
dinamico ed, in quanto tale, deve ritenersi generalmente sussistente.
Se tali principi erano già stati enunciati, in ambito civilistico,
dalle Sezioni Unite con le summenzionate sentenze nn. 6070 e 6072 del 12 marzo
2013, con la sentenza n. 9672/18 la Corte di Cassazione ne afferma e conferma
l’applicazione anche in ambito tributario ossia nel caso in cui il creditore
insoddisfatto sia l’Erario.
Anzi, in questo
specifico caso, seppur in forma dubitativa, i giudici di legittimità paiono
accordare al creditore una tutela ancor più rafforzata infatti facendo
riferimento alle peculiarità del processo tributario la Suprema Corte mette
in discussione che la stessa eccezione di “difetto di responsabilità” per
mancato ricevimento di somme in sede di distribuzione possa essere introdotta
in tale sede.
La Corte prende in considerazione, innanzitutto, le caratteristiche
formali ed amministrative dell’atto impositivo, che presuppone in ogni caso
una iscrizione a ruolo nei confronti del socio quale successore della società
per somme già accertate nei confronti di quest’ultima. In secondo luogo,
ricorda il principio di impugnabilità degli atti tributari per vizi propri (art. 19, comma 3, del D.Lgs. n. 546/1992)
e il divieto di ampliamento dell’oggetto del giudizio (limitato alla sola
verifica della fondatezza della pretesa tributaria), elementi tutti che, a
mente della Corte, metterebbero in serio dubbio la stessa possibilità di
dedurre l’eccezione in oggetto in seno al processo tributario.
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