Il nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza riporta all’articolo 2, comma 1 lettere a), b) e c) le definizioni di crisi, insolvenza e sovraindebitamento. Nella lettera della norma, le descrizioni fatte dal Legislatore assumono un’elevata caratteristica letteraria.
Per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico il Legislatore ha voluto descrivere una situazione economica in maniera indefinita e non priva di incertezza, con una modalità che si discosta notevolmente dalla definizione basata su rigidi e ineludibili parametri numerici quale è l’attuale formulazione dell’articolo 1 della Legge Fallimentare del 1942.
La volontà del Legislatore, quindi, si basa chiaramente sulla necessità di regolamentare una realtà economica dell’impresa che non ha più caratteristiche e definizioni unitarie, ma che si mostra con poliedriche facce difficilmente codificabili e parametrabili; e lo dimostra dandone una illustrazione fluida ed elastica, che ben dovrebbe consentire di descrivere il momento di una realtà viva e in divenire qual è l’impresa.
Stupisce quindi quando si verifica che la portata dell’articolo 2 CCI si scontra con il dettame degli articoli 12, 13 e 15 del CCI i quali intenderebbero, nel momento in cui tale crisi emerge nella realtà aziendale, restituire alla suddetta normativa una rigidità di parametri e di risultati numerici che l’articolo 2 del CCI non prevede.
Lo scopo del presente studio è quindi quello di cercare di delineare e concretizzare la definizione di crisi d’impresa e del momento dell’allerta; cioè il momento nel quale tale crisi emerge, con variabili verificabili sia dall’interno che dall’esterno del sistema, verificando poi quali siano gli strumenti migliori per l’emersione.
Darne quindi un approccio aziendalistico reale e realizzabile sia dall’imprenditore dell’impresa fallibile, ma non grande, quanto dagli organi di controllo delle società dimensionalmente maggiori; sia ai fini dell’emersione della crisi e quindi dello stato di allerta, sia per dotarsi dei necessari strumenti per il superamento del momento di difficoltà. Superare gli errori dell’articolo 15, 1 e 2 comma CCI, utilizzando a tal fine le moderne metodologie della pratica aziendalistica.
Il lavoro è strutturato come segue: nell’ambito dell’analisi per indici, il lavoro ne illustra i limiti; nell’ambito dell’analisi per flussi viene indicata in maniera breve una metodologia di applicazione con il rendiconto finanziario, del quale esistono modelli diversi di rappresentazione dei flussi in base alla definizione di flussi finanziari.
Gli articoli del CCI a cui il presente lavoro fa riferimento sono:
Art. 2 Definizioni
CAPO I STRUMENTI DI ALLERTA
Art. 12
Nozione, effetti e ambito di applicazione
Art. 13 Indicatori della crisi
Art. 15
Obbligo di segnalazione di creditori pubblici qualificati
Comma 1 e 2
Definizione del concetto di crisi.
Negli articoli del CCI sopra indicati, emerge una realtà giuridica facilmente rappresentabile: da un lato l’impresa, descritta quale sistema di valori in evoluzione non codificabile entro leggi rigide e parametrate; dall’altro la stessa realtà analizzata e giudicata in base a criteri aziendalistici e giuridici che non possono assolutamente portare ai risultati previsti e richiesti dalla norma.
Per definire cosa è la crisi bisogna pensare che, essendo lo scopo dell’impresa accrescere il valore del capitale economico, non solo un andamento negativo del valore, derivabile sia dall’incapacità di realizzare i flussi di reddito o di cassa attesi sia dall’aggravamento del livello di rischio delle strategie aziendali è configurabile come crisi, ma anche una situazione di staticità o diminuzione del valore è interpretabile come segnale di potenziali squilibri. Ne consegue quindi che, quando la perdita di flussi risulti “sistematica e irreversibile senza interventi risanatori o di ristrutturazione” si può parlare di crisi dell’economicità dell’impresa che si traduce quasi sempre in gravi carenze sul piano finanziario: crisi di liquidità, difficoltà nell’accesso al credito e perdita di fiducia degli stakeholders aziendali. Quando la crisi raggiunge il suo massimo livello, allora si comincia a parlare di insolvenza, che rappresenta una condizione permanente di squilibrio patrimoniale, irrimediabile senza l’assenso dei finanziatori a rinunciare alla riscossione immediata dei crediti loro spettanti.
Possono essere identificate cinque grandi macroclassi di cause dalle quali può originarsi lo stato di declino e/o crisi:
La percezione immediata dei sintomi indicatori di uno stato di distruzione del valore è fondamentale per aumentare le probabilità di conservazione dell’impresa in funzionamento; è chiaro quindi che l’allerta, così come disegnata dalle prime bozze della riforma, avrebbe dovuto essere lo stadio nel quale veniva fornito all’imprenditore o all’organo amministrativo lo strumento per questa immediata percezione. Ma ciò che si legge nell’attuale previsione normativa, non soddisfa affatto la possibilità di creare all’interno dell’impresa quella percezione sopra indicata.
ART. 13 CCI – Strumenti per la verifica dell’esistenza della crisi
Nell’articolo 13 del CCI, gli strumenti indicati per tale verifica, sono indici.
L’indice è un elemento di analisi, ormai per unanime dottrina, che può dare unicamente risultati statici, incapaci quindi di verificare una realtà fluida quale è quella dell’impresa, quantomeno nell’analisi della sostenibilità dei debiti e della continuazione dell’attività nei sei mesi successivi come previsto dalla norma.
Solo in teoria l’analisi per indici potrebbe dare delle indicazioni o delle tendenze, perché in realtà si tratta, come già detto, di un’analisi statica mentre la gestione è tipicamente caratterizzata dal requisito della dinamicità.
L‘analisi del bilancio d’esercizio condotta per indici è, tra gli strumenti disponibili, quella di cui più spesso viene messa in discussione l’utilità in ragione del fatto che i dati contabili sui quali sono costruiti gli indici risentono di un ineliminabile livello di astrazione e di ipotesi formulate dagli amministratori che redigono il bilancio, tale da renderlo scarsamente rappresentativo della realtà nonostante il rigoroso dettato normativo che guida la sua redazione. Tuttavia, se da una parte è vero che l’affidabilità di un bilancio è legata all’attendibilità dei dati contabili sui quali è costruito, è utile tenere presente che i risultati che emergono dall’analisi per indici condotta sui bilanci delle aziende non offrono un giudizio unico ed inequivocabile: esso è infatti sempre legato alla capacità interpretativa dell’analista, sia esso interno che esterno, questa dipendendo dal grado di esperienza e dalla conoscenza delle motivazioni e delle ipotesi che hanno guidato gli amministratori nella redazione del bilancio.
Lo scrivente, quindi, si permette di indicare quale strumento più idoneo un’indagine per flussi, che potrebbe generare un’attendibile verifica dell’allerta in merito alla continuità aziendale; ma l’analisi per flussi assume un significato aziendalistico se effettuata non a posteriori su dati storici, ma bensì in un sistema organizzato dato da un insieme di piani a lungo termine, budget esplicativi di quei piani, strumenti per la verifica a posteriore degli scostamenti, analisi degli scostamenti, ricerca della soluzione per annullare gli scostamenti. E ciò perché il fenomeno della crisi d’impresa si configura come un fenomeno di natura sistemica, che interessa l’impresa nella sua interezza e si materializza in un processo degenerativo autoalimentantesi che solo un processo di segno opposto può rimediare e annullare.
L’adozione di metodologie basate sui flussi si confà meglio alle situazioni di continuità poiché prevede nelle sue metodologie l’analisi di singoli asset espressi al valore d’uso. Occorre far presente come, allorquando il processo di risoluzione della crisi sia stato avviato e/o portato a compimento anche solo con la riduzione dell’indebitamento e/o la ridefinizione delle scadenze di rimborso dello stesso, si venga inevitabilmente a creare una discontinuità tra l’andamento dei flussi storici e di quelli prospettici e questa discontinuità è quello scostamento il cui studio realizza risultati nell’impresa. Un ulteriore elemento da considerare nella stima dei flussi attesi, distinti per singolo periodo, attiene all’effettiva coerenza tra flussi in entrata e flussi in uscita.
Il presupposto dell’analisi attraverso la quantificazione dei valori dell’impresa risiede nella possibilità di combinare sinergicamente le risorse esistenti con nuove prospettive gestionali, al fine di avviare un processo virtuoso.
E’ importante, quindi, codificare la metodologia per la valorizzazione delle risorse, secondo il seguente schema: valore per il mercato (vitale per i clienti e per il mercato); grado di unicità; durevolezza; estensibilità (opzioni reali).
La comprensione del contesto valutativo si raggiunge tramite l’acquisizione della base informativa, la quale comprende un’analisi strategica concernente il quadro macroeconomico, quello settoriale e quello specifico dell’unità oggetto di stima, un’analisi quantitativa dei risultati storici e poi delle previsioni sia degli scenari futuri sempre relativi ai tre quadri, sia dei flussi economici e finanziari della medesima unità.
E’ importante quindi analizzare l’impresa secondo tre contesti valutativi: se l’impresa è in tensione finanziaria (con o senza equilibrio economico); se l’impresa è in disequilibrio economico e in crisi reversibile; se l’impresa è in disequilibrio economico e in crisi irreversibile. La varietà di indicatori o leve impiegabili per definire lo stato in cui l’azienda versa, e soprattutto le possibili strade di uscita dallo stesso, comporta che i confini di ciascun contesto valutativo non possano essere tracciati in modo oggettivo, nonostante il ricorso alle grandezze economico-finanziarie. Il passaggio di un’azienda da un contesto all’altro può essere lento o repentino a seguito di un evento significativo sulla dinamica dei flussi e sui conseguenti equilibri di bilancio.
L’obiettivo è individuare le condizioni di applicabilità e i criteri, in relazione ai quali scegliere il metodo più corretto per procedere alla valutazione di un’azienda per verificarne l’eventuale stato di crisi.
In definitiva si può quindi dire che una prima analisi dinamica dell’impresa necessiti dei seguenti criteri di valutazione:
La formulazione del metodo patrimoniale semplice è la seguente:
Ve = K0 = C + [ΣP – ΣM] (1- t)
dove:
Ve è il valore del capitale economico,
K0 è il capitale netto rettificato a valori correnti, C è il capitale netto contabile,
P sono le plusvalenze originate dagli elementi patrimoniali, M sono le minusvalenze originate dagli elementi patrimoniali
t è l’aliquota fiscale potenziale da applicarsi al saldo (se positivo) fra plusvalenze e minusvalenze.
La formulazione del metodo Patrimoniale Complesso è la seguente:
Ve = K’0 + BI (1-t)
dove:
K’0 è il patrimonio netto rettificato con esclusione dei beni immateriali, BI sono i beni immateriali.
E’ chiaro che questo tipo di valutazioni non sono riconducibili al dettame di cui all’articolo 13 CCI; ne consegue che un’analisi fatta secondo le indicazioni del codice potrebbe portare alla creazioni di imprese false positive rispetto alla verifica di uno stato di crisi. E che le imprese che, non rientrando nella casistica di cui alla definizione di sovraindebitamento, volessero dotarsi degli strumenti corretti, come sopra indicati, avrebbero la necessità di affrontare grossi investimenti che potrebbero mettere a rischio il loro equilibrio economico e finanziario.
Analogamente, le voci di Stato patrimoniale iscritte nel Passivo (o Fonti di Finanziamento o Struttura Finanziaria) devono essere riclassificate in base alla natura dei finanziatori, ossia in relazione al fatto che esse siano apportate da Soci o da Possessori di quote del capitale sociale o da Finanziatori terzi esterni, distinguendo tra Finanziatori in Capitale di Rischio e Finanziatori in Capitale di Credito. Le fonti di finanziamento sono ulteriormente riclassificate in base alla loro durata, ossia in relazione al tempo di rimborso, individuato nel parametro temporale dell’esercizio.
Distingueremo quindi le Fonti finanziarie del capitale permanente (o Capitale proprio o Patrimonio Netto o Finanziamenti a lungo termine erogati a favore dell’azienda sotto forma di indebitamento o passività consolidate) dalle Fonti finanziarie a breve termine o passivo corrente.
Il documento per la ricostruzione dei flussi finanziari della gestione è il principio contabile “OIC 10, Rendiconto finanziario”, documento peraltro reso obbligatorio dall’articolo 2423, comma 1, del codice civile, il cui scopo è quello di definire i criteri per la redazione e presentazione dei flussi finanziari generati e/o assorbiti dalla gestione complessivamente considerata ricostruendo le cause di variazione delle disponibilità liquide nell’esercizio al fine di valutare la situazione finanziaria della società, o del gruppo di imprese, e la sua evoluzione nel tempo. Il rendiconto finanziario fornisce inoltre altre informazioni sulle disponibilità liquide prodotte/assorbite dall’attività operativa e modalità di impiego/copertura, sulla capacità di far fronte agli impegni finanziari a breve termine, sulla capacità di autofinanziamento.
Per la redazione del rendiconto finanziario viene quindi calcolato il flusso finanziario determinabile con due metodi: il metodo diretto e il metodo indiretto.
Nel metodo indiretto il Flusso finanziario della gestione reddituale viene ricavato partendo dal risultato economico dell’esercizio ed effettuando le rettifiche relative alle seguenti voci: operazioni che non hanno determinato variazioni monetarie e componenti di reddito associati ai flussi derivanti dalle attività di investimento e di finanziamento. Si tratta quindi di una riconciliazione tra il reddito economico, calcolato sulla base del principio di competenza e il flusso di cassa monetario generato dalla gestione corrente.
Nel metodo diretto, che è quello più semplice da un punto di vista concettuale e più efficace da un punto di vista espositivo, vengono fornite informazioni che possono essere utili nella stima dei futuri flussi finanziari che non sono disponibili con il metodo indiretto, e sono altresì oggetto di analisi:
Nel Rendiconto Finanziario, quindi, le variazioni sono rappresentate dai flussi finanziari le cui variabili sono date da aumenti e diminuzioni derivanti dall’attività operativa, dall’attività di investimento e dall’attività di finanziamento; e l’attività operativa è data dalle operazioni connesse all’acquisizione, produzione e distribuzione di beni e alla fornitura di servizi, anche se riferibili a gestioni accessorie; l’attività di investimento è data dalle operazioni di acquisto e di vendita delle immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie e delle attività finanziarie non immobilizzate; e l’attività di finanziamento è data dalle operazioni di ottenimento e di restituzione delle disponibilità liquide sotto forma di capitale di rischio o di capitale di debito.
L’attuale versione del principio contabile che norma la costruzione del rendiconto finanziario indica esplicitamente un preciso aggregato contabile di riferimento, ovvero le disponibilità liquide. Il nuovo principio contabile raccomanda l’utilizzo di questo unico aggregato e, pertanto, anche l’adozione di un unico modello di rendiconto atto a rappresentare i flussi finanziari generati e/o assorbiti dalla gestione: il rendiconto finanziario delle disponibilità liquide costruito sulla base di quello adottato nella prassi internazionale al fine di favorire la comparabilità nel tempo e nello spazio tra bilanci aziendali, o tra gruppi di imprese.
Le diverse definizioni e configurazioni del flusso di cassa fanno emergere un ulteriore interrogativo: posto che il flusso di cassa di periodo si intende in termini di gestione complessiva, come è possibile misurare il solo flusso di cassa della gestione reddituale?
I modelli di rendiconto finanziario possono infatti presentare tra di essi differenze significative tali per cui l’informativa sui flussi finanziari che da essi si ricava può risultare non immediatamente comparabile. È rilevante pertanto sottolineare che i modelli di rendiconto finanziario utilizzati per la misurazione dei flussi finanziari della gestione devono indicare sinteticamente la potenza finanziaria della sola gestione reddituale, al fine di valutare la capacità dell’azienda di remunerare i fattori produttivi impiegati con i soli risultati prodotti dal suo core business.
L’attuale aggregato utilizzato per la ricostruzione dei flussi finanziari e l’esposizione nel documento “rendiconto finanziario” secondo il principio contabile OIC 10 è noto come “disponibilità liquide”, definite dal principio contabile intitolato ad esse (OIC 14). Esso è nella sostanza lo stesso aggregato già utilizzato; tuttavia il principio contabile OIC 14 ne definisce in maniera precisa la composizione, ponendo l’attenzione su alcuni punti di interesse tra i quali, ad esempio,
Per l’individuazione dell’aggregato in oggetto sono considerati i depositi bancari e postali, gli assegni, il denaro e altri valori in cassa, comprendendo anche gli stessi aggregati qualora espressi in valuta estera.
L’aggregato “disponibilità liquide” non ricomprende le cambiali attive in portafoglio, i titoli a breve termine nonché i cosiddetti “sospesi di cassa” definiti come “uscite di numerario già avvenute ma che non sono state ancora registrate, in attesa della documentazione necessaria alla loro rilevazione contabile”.
ART. 15 CCI
Il meccanismo di emersione della crisi previsto dall’articolo 15 CCI, interessa il comportamento fiscalmente rilevante dell’impresa. E’ interessante, però, porre una particolare attenzione sulla modalità descritta sul comportamento ai fini IVA dell’impresa per stabilirne lo stato di crisi.
Infatti, la norma prende in considerazione unicamente il debito IVA risultante dalla liquidazione periodica ex art. 21-bis del DL 78/2010 “da versare” (rigo VP14 colonna 1), e non necessaria- mente quello scaduto e non versato.
Infatti, la comunicazione trimestrale non prevede l’indicazione dei versamenti; da ciò ne deriva che se il debitore non ha versato l’IVA nel periodo precedente, il modello non ne tiene praticamente conto perché l’unico rigo che contempla il riporto del debito del periodo precedente è il VP7, dove però può essere indicata una cifra fino a un massimo di € 25,82.
Quindi l’aver individuato la soglia del 30% del volume d’affari del periodo precedente quale valore rilevante ai fini dell’emersione della crisi, rende di fatto impossibile ogni segnalazione per il semplice fatto che l’aliquota ordinaria è del 22% e che quindi il 30% indicato non può mai essere raggiunto.
Praticamente, chiunque può non versare l’IVA perché il sistema non lo individua.
Quale sarà poi il comportamento da utilizzare per quelle imprese che abbiano legittimamente fruito ai fini IVA di una proroga di tre anni dei termini di scadenza degli adempimenti fiscali ricadenti entro un anno dalla data dell’evento lesivo quale può essere la calamità naturali, oppure per aver opposto rifiuto a richieste di natura estorsiva (o non avendovi aderito abbiano subito nel territorio dello Stato un danno a beni mobili o immobili in conseguenza di fatti delittuosi commessi, anche al di fuori di un vincolo associativo, per il perseguimento di un ingiusto profitto)?
Il mancato coordinamento fra il CCI e il nuovo codice antimafia, creerà molteplici criticità di cui al momento non si vede la risoluzione.
Alla luce di quanto sopra esposto, ritiene lo scrivente che non vi sia altra strada se non quello di una illuminazione del Legislatore che apporti al CCI le opportune correzioni.
Per quanto attiene l’articolo 13, stabilire nuovi e più dinamici strumenti, quali a esempio quelli indicato in questo articolo, per la valutazione dello stato endemico dell’impresa.
Per quanto invece riguarda l’articolo 15, si suggerisce la modifica dell’articolo 15 seguendo una delle due strada di seguito indicate:
Con l’applicazione di uno dei due correttivi sopra indicati l’obbligo di segnalazione ex art. 15 CCI diventa uno strumento semplice, oggettivo, incontrovertibile, efficace ed efficiente in termini di restituzione di falsi positivi o negativi e quindi privo quasi del tutto di possibilità di contenzioso.
Si può inoltre ritenere che la segnalazione ex art. 15 CCI diventerebbe simile a quella già esistente di cui all’art 21-bis comma 5 del DL 78/2010, ovvero la “lettera di compliance” che consente anche oggi all’impresa di sanare la sua posizione con lo strumento del ravvedimento operoso ex D. Lgs 472/1997 mediante l’applicazione di sanzioni ridotte rispetto alla previsione di cui all’art. 15 comma 2 ovvero dell’avviso bonario ex art. 3-bis del **D. Lgs 472/1997 mediante l’applicazione di sanzioni ridotte rispetto alla previsione di cui all’art. 15 comma 2 ovvero dell’avviso bonario ex art. 3-bis del D. Lgs 462/1997 dandogli quindi un’opportunità in più.
Si ritiene in ogni caso che, avendo voluto il Legislatore inserire nella norma elementi aziendalistici, una revisione del testo utilizzando gli strumenti più moderni e più idonei delle teorie aziendalistiche sarebbe auspicabile e salvaguarderebbe le imprese dai “falsi positivi” che l’applicazione della norma così come si presenta sicuramente genererà.