La sentenza n. 1869 del 1 febbraio 2016 della Prima sezione Civile della Cassazione è la prima in tema di sovraindebitamento e pronuncia il principio di diritto, ai sensi dell'art.363 co.3 c.p.c., che, ai sensi della legge 27 gennaio 2012, n.3, la nozione di consumatore per essa abilitato al piano, come modalità di ristrutturazione del passivo e per le altre prerogative ivi previste, non abbia riguardo in sé e per sé ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni d'impresa o professionali, invero compatibili se pregresse ovvero attuali, purché non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, potendo il soggetto anche svolgere l'attività di professionista o imprenditore, invero solo esigendo l'art. 6, co. 2, lett. b) una specifica qualità della sua insolvenza finale, in essa cioè non potendo comparire obbligazioni assunte per gli scopi di cui alle predette attività ovvero comunque esse non dovendo più risultare attuali, essendo consumatore solo il debitore che, persona fisica, risulti aver contratto obbligazioni —non soddisfatte al momento della proposta di piano - per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in un'attività d'impresa o professionale propria, salvo gli eventuali debiti di cui all'art.7 co.1 terzo periodo (tributi costituenti risorse proprie dell'Unione europea, imposta sul valore aggiunto e ritenute operate e non versate) che sono da pagare in quanto tali, sulla base della verifica di effettività solutoria commessa al giudice nella sede di cui all'art.12bis co.3 1. n. 3 del 2012.
Ma non è su questo che mi voglio soffermare.
Nella motivazione della decisione, i giudici hanno modo di esprimersi su un’altra importantissima questione che fin ad oggi stava creando non pochi problemi applicativi.
Mi riferisco al requisito di ammissibilità alla procedura stabilito dall’art. 7 comma 2 lettera b) ovvero il non aver "fatto ricorso, nei precedenti cinque anni, ai provvedimenti di cui al presente capo".
L’interpretazione prevalente data fino ad oggi dai tribunali era molto restrittiva: chiunque avesse anche solo presentato ricorso, indipendentemente dagli esiti (e quindi anche con domanda rigettata, non approvata o ritirata) doveva attendere cinque anni prima di proporre una nuova domanda ad uno qualsiasi procedimenti.
Un’interpretazione così restrittiva aveva dato molto da discutere sia perché la ratio (ed anche la lettera) della norma porta invece ad una interpretazione più "estensiva" sia per l’evidente illegittimità costituzionale vista la disparità di trattamento della fattispecie con le norme affatto simili previste per il concordato (che può essere presentato ad libitum).
Nella sentenza si parla del "provvedimento di rigetto dell'ammissibilità del piano, che non pregiudica in tesi la stessa possibilità di presentare un altro e diverso piano (del consumatore), pur se con gli eventuali limiti temporali — posti dal legislatore a fronteggiare un uso ripetuto ed indiscriminato dell'istituto — di cui all'art.7 co.2 lett.b), peraltro dettato a carico del debitore che "vi abbia fatto ricorso", dunque fruendo degli effetti pieni dell'istituto stesso nel quinquennio anteriore."
Chiarissimo e condivisibilissimo: quando l'art.7 co.2 lett.b) parla del debitore che "vi abbia fatto ricorso", si riferisce ai soggetti che hanno usufruito degli effetti pieni dell'istituto stesso nel quinquennio anteriore.
Se così non è stato, il limite dei cinque anni non vale e quindi la domanda può essere senza problemi ripresentata.
Dispone l'art. 56 L.F.: “I creditori hanno diritto di compensare con i loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché non scaduti prima della dichiarazione di fallimento. Per i crediti non scaduti la compensazione tuttavia non ha luogo se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell'anno anteriore”.
Rispetto all'art. 1243 c.c., l'art. 56 L.F. non prevede il requisito della “avvenuta scadenza” dei contrapposti debiti prima della dichiarazione di fallimento perché espressamente ammette la compensazione tra debiti (scaduti) verso il fallito e crediti verso lo stesso, non scaduti, prima della sentenza di fallimento (che, per il disposto del secondo comma dell'art. 55 L.F., ne determina la scadenza).
Per poter operare la compensazione sono quindi necessari i seguenti requisiti:
La compensazione è un diritto del creditore: per richiederla è quindi necessario dimostrare di essere creditore e che vi sono i requisiti sopra elencati.
Il diritto alla compensazione vi è certamente se il credito è stato ammesso al passivo.
Ma il diritto alla compensazione opera indipendentemente: il creditore, nell’ipotesi che il curatore chieda il pagamento di un debito, può eccepire la compensazione del proprio credito, dimostrando i requisiti sopra esaminati, fino a concorrenza del debito (Cassazione 287/2009, 481/2009 e 64/2012).
Si riassumono schematicamente i principali documenti che il lavoratore, una volta ammesso allo stato passivo, deve allegare alla domanda per l’intervento del Fondo di garanzia INPS per l’anticipazione del trattamento di fine rapporto e/o dei crediti di lavoro diversi dal TFR.
L’elenco e le modalità sono quelle dettate, da ultimo, nel messaggio INPS n. 2084 del 11.5.2016 che detta le istruzioni agli uffici.
Il messaggio INPS è reperibile sul sito www.fallimento.it o www.librettoverde.it
DOCUMENTO | CHI LO RILASCIA |
Copia autentica (anche per estratto) dello stato passivo reso esecutivo | Cancelleria fallimenti oppure il legale che ha patrocinato il lavoratore nell’ambito della procedura concorsuale che, stante le previsioni dell’art. 16 bis, comma 9 bis del D.L. 179/2012 convertito dalla L. 221/2012, può attestare la conformità della copia estratta dal fascicolo informatico |
Dichiarazione sostitutiva dell’attestazione della Cancelleria che il credito non è stato oggetto di opposizione o di impugnazione ai sensi dell’art. 98 LF. | Nessuno: la dichiara il lavoratore con la firma della domanda (la dichiarazione è stata integrata nella domanda di intervento dei Fondi di garanzia) |
Copia autentica del decreto che ha deciso l’eventuale azione di opposizione o impugnazione riguardante i crediti del lavoratore (quando il credito del lavoratore sia stato oggetto di opposizione o impugnazione) | Il legale che ha patrocinato il lavoratore nell’ambito della procedura concorsuale che, stante le previsioni dell’art. 16 bis, comma 9 bis del D.L. 179/2012 convertito dalla L. 221/2012, può attestare la conformità della copia estratta dal fascicolo informatico |
Modello SR52 (per la liquidazione del TFR e dei Crediti di lavoro) e/o Modello SR95 (per la liquidazione delle omissioni contributive alla previdenza complementare) | Curatore (in caso di rifiuto del responsabile della procedura concorsuale di compilare i modelli in questione, come già indicato nella circolare n. 74 del 15 luglio 2008, le domande non devono essere respinte, ma le informazioni necessarie devono essere richieste direttamente al lavoratore tramite l’esibizione di idonea documentazione (per es. istanza di ammissione al passivo) |
Copia della domanda di ammissione al passivo completa di documentazione (conteggi, copia dei cedolini paga etc.) | Il lavoratore nel caso di rifiuto da parte del Curatore |
A proposito della compilazione del Modello SR52 e/o Modello SR95 si segnala che nessuna norma di legge prevede che il curatore abbia l’obbligo di compilare le certificazioni e/o il modello SR52. Il Curatore, se vuole, procede solo per spirito di collaborazione e comunque senza spese a carico degli altri creditori (in altre parole, le spese del Consulente del Lavoro per la redazione del Modello SR52 non possono essere messe a carico della procedura).
Nel messaggio l’INPS prevede che “In caso di comprovato rifiuto del responsabile della procedura concorsuale di compilare i modelli in questione, come già indicato nella circolare n. 74 del 15 luglio 2008, le domande non devono essere respinte, ma le informazioni necessarie devono essere richieste direttamente al lavoratore tramite l’esibizione di idonea documentazione (per es. istanza di ammissione al passivo) unitamente alla compilazione del modello SR54)”
Si sconsiglia di firmare il modello in quanto non vi è un obbligo di legge (ma vi è un’assunzione di responsabilità non dovuta e non retribuita e che potrebbe creare dei problemi con l’assicurazione nel caso di risarcimento di eventuali danni).
Il lavoratore non ha alcun danno dal rifiuto in quanto, in sostituzione, allegherà la domanda di ammissione al passivo con gli allegati (procedura che è anche più semplice).
Riassumendo e concludendo: il curatore non deve rilasciare o firmare alcun documento.
Scarica articolo in PDF